Clint Eastwood: Hereafter
CLINT EASTWOOD
Hereafter
(Usa 2010, 129 min., col., drammatico)
Hereafter comincia con una sequenza grandiosa ma essenziale: la rappresentazione dello tsunami del 2004, che sembra uscita da un film di Spielberg, peraltro qui in veste di produttore. Non si tratta però di una concessione facile al cinema degli effetti speciali, anche perchè è l’unica scena spettacolare in più di due ore. Hereafter, infatti, è un film domestico, girato soprattutto in interni, lento e riflessivo.
Lo tsunami è il punto di rottura, stilistico e tematico della pellicola, tra il prima e il dopo, e soprattutto tra il “di qua” e il “di là”, per una delle storie che tratta, quella di una giornalista francese cui il disastro provoca una visione non di morte ma..di vita oltre la morte. La stessa devastazione, stavolta privata, vissuta da un bambino londinese che perde con il fratello gemello sua guida e sostegno; e il peso di una capacità, la percezione dell’aldilà, di un operaio americano. Chiave di volta è l’incontro tra i tre, senza però risvolti grandiosi o eclatanti, a manifesto della discrezione del regista per tutte le storie che racconta: non gli piacciono scene madre o colpi di scena.
Hereafter non è (fortunatamente) un film sul paranormale come si era detto all’uscita, cosa che ha provocato in molti una certa delusione; si “limita” ad una riflessione matura e profonda sulla morte non come distruzione della vita ma come parte integrante e indissolubile di essa; indaga la sua natura in maniera discreta e raffinata, con la classe tipica del regista, affezionato a temi come la pietà e l’accettazione del dolore.
Il desiderio di una vita normale del sensitivo (le lezioni di cucina), il silenzio di cui il il film si nutre (si pensi alla stanza del bambino), l’incompresione della giornalista (i cui colleghi non accettano il suo cambiamento), tutte scene ambientate in luoghi così lontani (Londra, San Francisco, Parigi) e accomunati dalla stessa solitudine e ansia del futuro. La risposta è nel sogno, nella volontà di vivere, che si respira nel finale, veramente “super ottimista” in stile puramente tradizionale – hollywoodiano, in cui si riassume l’idea di Eastwood di un cinema sotto tutti gli aspetti neo-classico, tradizionale, anche se mai scontato.
Non uno dei suoi migliori di certo; risultano fastidiosi a mio parere i “salti” da una storia all’altra, l’intreccio non funziona così bene.. forse invecchiando sta aderendo a un’idea di pacificazione (il film è quasi troppo ottimista) superando quell’idea di afflizione che permea i primi film (i capolavori, “Spietati”, “Mystic River” ecc). Può non piacere, ma è la strada dell’artista e non si discute..
Stefano Uboldi