Harmony Korine: Spring Breakers
HARMONY KORINE
Spring Breakers
(USA 2012, 94 min., col., commedia?)
Chiarisco: non conosco il cinema di Korine e riuscire a giudicare la sua ultima pellicola (presentata in concorso all’ultima edizione veneziana) per me non è affatto facile non potendo inquadrarla all’interno della carriera del regista. Detto ciò, appare chiaro che affrontare Spring Breakers richiede di scindere pancia (in questo caso, bassoventre) e cervello senza riserve, e che soffermarsi sul fatto che si vedano troppi tette e culi senza quasi un perchè sia un osservazione sterile, seppur veritiera. Ciò che mi ha colpito vedendolo in sala non è stata la reazione del pubblico che lo scherniva, o che lo rifiutava categoricamente, ma qualcuno (e intendo proprio una o due persone) che alla domanda: “quanto è brutto questo film?” rispondeva, serissimo: “a me piace”. E così, nel classico bivio di cazzata o post-moderno, presa in giro o stimolante analisi sociologica, insomma rozzamente nel dubbio che sia un film bello o brutto a prescindere, capisco che ciò che mi irrita davvero di Spring Breakers è che ci constringe a porci in una prudente posizione mediana.
Perchè, se è vero che il film è coperto da uno spesso strato di tamarraggine estrema, e che il suo autore e i suoi protagonisti ci sguazzano dentro beati e soprattutto senza moralismi (Korine rappresenta, non giudica: punto a favore), è anche vero che scavando a fondo è possibile captare un senso in mezzo alla bruttezza generale. Una chiave di volta per interpretare questo film, che però non pretende di essere interpretato (cervellotico: punto a sfavore), è rappresentata da una scena in cui, ad un certo punto le ragazze, già proiettate allo Spring Break ma senza soldi, decidono di compiere una rapina e una di loro dice: “facciamo finta di essere in un videogioco, in un film”. E’ perciò implicitamente espresso che il film è voluto in questo modo per far sì che i suoi personaggi parlino (per slogan stucchevoli come “Spring Breaker Persempre!”) e si comportino (gestacci gratuiti, pose da macho) come se fossero in un film a loro volta; un film iper-(ir)realista fluorescente e rosa shocking che se proprio mi devo sbilanciare, non mi piace.
Eppure: nelle modalità in cui la pellicola si sviluppa e cresce, tanto di cappello. C’è tanto di cui parlare. Per prima cosa, il montaggio alternato ed ellittico, è mostruosamente affascinante (ad esempio, in una scena le ragazze si vedono in manette sulla volante della polizia e solo dopo viene raffiguato l’arresto) Le tecniche che più mi hanno impressionato sono la reiterazione e il fuori campo. Spring Breakers è ipnotico in quanto dialoghi e sequenze vengono ripetute come un mantra: il senso di never-ending party, di festa infinita e senza senso, di esibizione della carne come a un mercato, è bene espressa più che dalle immagini (sempre in ralenty e spesso deformate) dalla loro ripetizione. Tette, culi, birra, armi e coca: sì ci sono, e niente di nuovo, ma qui vengono mostrati ancora, ancora e ancora. Spring Breakers è l’equivalente cinematografico del tormentone musicale estivo. Il party torna, anche quando non c’entra nulla, e spesso in contrappunto con la scena in cui è inserita. Per quanto riguarda il fuori campo, e il linguaggio in generale del film, mi sento di paragonare (preparate le uova marce) lo stile di Korine affine a quello “divino” di Malick, nella frammentazione e nel flusso di coscienza, nell’asincronia tra ciò che si vede e si ascolta (c’è un nome tecnico che non mi viene in mente, abbiate pietà); ciò che li distingue è che Malick affronta Grandi Questioni e Korine Grandi Stronzate. Il secondo confronto che mi viene in mente, stavolta sul piano tematico, è Reality. Ciò che disturba è che, a differenza del film di Garrone, in cui lo spettatore è in una posizione privilegiata (può giudicare, perchè più “in alto” della vicenda trattata, e perchè viene mostrata una via d’uscita, rassicurante, dall’incubo), in Spring Breakers siamo senza punti di riferimento completamente inermi di fronte allo spettacolo osceno.
Spring Breakers è un contenitore vuoto, una summa di tutto il peggio del peggio dell’iconografia pop e hip-hop: donne in bikini sottomesse, catene e denti d’oro, armi e violenza, lusso esibito. L’intervento di Korine è stato quello di rovistare a piene mani nella spazzatura sub-culturale, concentrandola in un distillato di cattivo gusto, sicchè gli elementi più osceni vengono sistematicamente eletti a nuovo, marcio simbolo del sogno americano. L’estetica di Spring Breakers è così satura di questi elementi da far venire la nausea; si veda la scena, da annali, in cui il rap-gangster James Franco suona il piano cantando un brano di Britney Spears mentre le ragazze incappucciate fanno il coro armate di fucili d’assalto. Tutte queste peculiarità fanno della pellicola di Korine un’opera più vicina alle avanguardie cinematografiche che ai B-Movie. E si badi, si può dire quel che si vuole di questo film, tranne che sia un film di serie B: caso mai è un film fuori serie.
Consideriamo che se il film è stato distribuito ovunque, anche negli stessi multisala in cui si proiettano i cinepanettoni, vuol dire che Korine ha fatto centro. Il veleno è stato inoculato e adesso circola, endemico, come un virus.
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