Lynne Ramsay: …E Ora Parliamo di Kevin
LYNNE RAMSAY
…E Ora Parliamo di Kevin
(USA/UK 2011, 112 min., col., drammatico)
Chiedo venia per il ritardo della recensione; ma …E Ora Parliamo Di Kevin meriterebbe d’essere considerato e studiato con l’attenzione che merita. Quali ragioni per ripescarlo adesso dopo diversi mesi dall’uscita nelle nostre sale? L’eccellenza del risultato e la passione del tema, quello della maternità, mai affrontato altrove come nei termini espressi da questa pellicola.
Per chi non l’ha visto, il film segue le vicende di una madre il cui figlio (Kevin) ha compiuto una strage a scuola. La donna è perseguitata dai parenti degli studenti massacrati, è ridotta a nascondersi in casa per non mostrare la sua faccia; nel frattempo ricorda alcuni episodi della vita con il figlio, che per intenderci è un vero e proprio mostro, subdolo bastardo sadico malvagio al limite della sopportazione, il quale si prefissa, come obiettivo nella vita, l’annichilimento e la mortificazione della madre in ogni modo immaginabile. La domanda che il film si pone è: Può una madre amare comunque un figlio che è l’incarnazione del Male?
In poche parole, questo film è letteralmente sorretto da una collaborazione di ferro tra la sua autrice, Lynne Ramsay, e la sua interprete, Tilda Swinton.
E poi Tilda Swinton. La gelida attrice di Michael Clayton dà forse la prova migliore della sua carriera; la gabbia della maternità contrapposta allo scenario alternativo di una vita libera, il dolore e la sofferenza che il figlio provoca fin dall’utero materno, i tentativi amorevoli mai ricambiati da un figlio cieco e sordo nei confronti di qualsiasi manifestazione d’affetto, gli struggenti tentativi di riavvicinamento a causa dei quali viene sacrificata ogni ambizione professionale, i tormenti interiori e il senso di colpa per un’odio tanto innaturale (è pur sempre una madre) quanto giustificato (tutto il male che Kevin infligge agli altri è indirettamente rivolto a lei); una donna divisa tra volontà di fuga e di lotta, in bilico tra le aspirazioni artistiche e le comodità borghesi, un disagio che cresce e cresce e si fa carne nel diabolico figlio. Un’interpretazione che solo un’attrice combattiva poteva sopportare, niente meno che un calvario.
Un capolavoro di quest’anno che valeva la pena ricordare.
Stefano Uboldi
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