Terrence Malick: To The Wonder (recensione in anteprima)
TERRENCE MALICK
To The Wonder
(USA 2012, 112 min., col., drammatico)
Non avrei mai pensato di dirlo, ma è così: Terrence Malick è riuscito a deludermi.
E pensare che i presupposti della delusione c’erano da tempo. Innanzitutto, il ritorno fulmineo del regista a meno di due anni da Tree Of Life, cosa anomala per un cineasta filosofo, abituato a tempi lunghissimi, ad anni e anni di riflessione, alla ricerca del sublime in ogni singola inquadratura, a post-produzioni infinite, insomma alla cura di ogni singolo aspetto. Le preoccupazioni si sono confermate quando si è sparsa la voce che alcune scene presenti in quest’opera sono derivate dall’immenso materiale archiviato nella preparazione di Tree Of Life; e già un film cucito con materiale riciclato rischia già in partenza; e gli scarti sono sempre scarti, anche se scarti di Malick e anche se scarti del suo capolavoro.
Il cineasta texano non demorde e puntualizza l’ultima tappa della sua poetica, sublimata nel precedente Tree Of Life. Quindi: elevazione del frammento da orpello a mattone costitutivo; riduzione drastica del dialogo a favore della voce fuori campo; rafforzamento dell’immagine a scapito dell’interpretazione, con conseguente rivoluzione del montaggio, antinarrativo ed ermetico. In sintesi, cinema della poesia e non della prosa. Dalla meditazione cosmica di Tree Of Life il campo si restringe al (non troppo) meno complesso tema del rapporto di coppia. Affleck è un americano in crisi, diviso tra una moglie francese che torna in patria stanca del vuoto mondo della provincia statunitense, e una amica d’infanzia con cui ha una relazione. Sullo sfondo Javier Bardem, il prete che sposa i protagonisti, si interroga sulla mancanza d’amore in crisi di vocazione.
Con la solita magniloquenza visiva, Malick riflette sull’amor sacro e sull’amor profano, sui limiti dell’amare “in due” contrapposti all’assenza di limiti (e confini, geografici ed emotivi) dell’amare “in uno”, inteso come amore sacro, spirituale. I protagonisti si avvicinano per poi riallontanarsi, la loro storia sembra finire mentre continua a bruciare, sottopelle. In una frase, “[L’amore sacro] è come una sorgente che sgorga ininterrottamente, [quello umano] è come un ruscello che si può interrompere”. Ben pochi sono gli spazi concessi al melò, genere per eccellenza del sentimento in tutte le sue forme, che il regista sottrae alla vicenda lasciando spazio solo ad un flusso discontinuo di immagini, splendidi panorami naturali e incursioni tendenzialmente new age (di punto in bianco assistiamo ad una tartaruga che nuota nella barriera corallina). In mezzo a questa meraviglia, fanno da contrappunto il caos e lo smarrimento dei protagonisti.Se in Tree Of Life l’intenzione e le modalità del regista provocavano reazioni di fascino o quantomeno profonda suggestione, in To The Wonder, nato come si è detto da una costola del capolavoro, tutto sembra essere un tentativo un pò furbetto, una replica di un ragionamento già compiuto. Esasperando il suo stile, Malick pecca di retorica (nel suo discorso filmico) e di maniera (nella sua messa in scena). E questo è il suo primo limite. Bellezza e perfezione sì, ma anche autoreferenzialità.
In secondo luogo, la scelta del cast è stato qualcosa di immondo. A noi è sempre piaciuta Rachel McAdams, ne abbiamo parlato bene qua e là, dunque avevamo grandi speranze di vederla recitare davanti alla cinepresa di un autore di primo livello come Malick; bene, i 10 minuti scarsi in cui vediamo la McAdams sono a mio avviso proprio i più intensi: troppo pochi, specie se si vuole giustificare una locandina con la McAdams in bella vista. Pare che il regista abbia tagliato molte scene con lei protagonista lasciando intatte (sarà amore?) quelle della rivale Olga Kurlyenko (Ucraina). La quale interpreta il ruolo più difficile, e anche piuttosto bene, se non fosse che balla, canta e fa la sciocchina fino alla sfinimento; Affleck passa metà del film a guardare per terra e l’altra metà a stare di spalle; il poliglottismo del film continua con Javier Bardem (Spagna) in versione prete. Il pubblico ha riso sulla sua prima inquadratura. E termina nel peggiore nei modi con Romina Mondello (Italia), in una particina che è una vera tortura (sto parlando di due-tre minuti in cui lo spettatore vorrebbe, con fulminea gelidità, prendere un’arma e scaricargliela addosso) in cui interpreta un’amica che invita Olga a vivere in completa autonomia con frasi di questo genere: “Sei l’esperimento di te stessa” e “dobbiamo essere come zingare!” in fluente italiano. Il colpo di grazia alla pellicola. La scintilla che ha innescato l’ondata di fischi. Terrence, come hai potuto permettere una cosa simile?
Anch’io adoro Malick, e puoi immaginare come mi sia sentito in sala quando il film è stato coperto di fischi…non condivido i BUUU ma la delusione, in parte, sì
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