Tony Kaye: Il Distacco
TONY KAYE
Il Distacco
(“Detachment”, USA 2011, 97 min., col., drammatico)
“…non mi sono mai sentito allo stesso tempo cosí distaccato da me stesso e cosí presente nella realtá…” (Albert Camus)
Tra gli outsiders del cinema britannico, Tony Kaye detiene un posto di primo piano dopo aver girato quel American History X, non indimenticabile ma grazie al quale abbiamo conosciuto per la prima volta lo stile esplicitamente anticonformista ed antiestetico del suo autore.
Girando il suo film in america, ritroviamo una messa in scena che, di primo acchito, mi sento di paragonare ad una granata a frammentazione. Che, brillando con una serie di guizzi d’ingegno narrativo, comincia lineare e rigorosa all’inizio ed “esplode” nella progressione; così la vicenda (ritrita fino allo sfinimento) del supplente di letteratura in una classe difficile, si ramifica estendendosi a tutta la comunità scolastica, soprattutto quella dei professori, tanto da arrivare ad indagare le loro (poco invidiabili) vite come se stessimo guardando dalla serratura della porta. Altra colonna portante è l’uso imprevedibile del flashback, mai didascalico, ma sempre suggestivo, sofisticato.
L’apparente incapacità di chiudere coerentemente molte sequenze, l’utilizzo destabilizzante dello zoom, l’interpretazione tesissima dei suoi personaggi, concorrono anche loro a rendere la pellicola cupa e amara, un vero e proprio tour de force nel male dell’esistenza.
Tra questi il protagonista Adrien Brody è riuscito a regalarci l’interpretazione più difficile della sua carriera, in cui molto più che ne Il Pianista la sua maschera di uomo sconfitto, schiacciato e umiliato è utilizzata alla perfezione. A differenza del tipico bravo professore cui siamo abituati (vedi l’impossibile Williams dell’Attimo Fuggente) riesce a catturare l’attenzione senza seduzioni o ammiccamenti o regalini, tantomeno senza scendere a compromessi (non esita a invitare i “non interessati” a farsi un giro) ma solo in forza dello stimolo insito nei suoi insegnamenti; ancora, ben lontano dal classico insegnante paternalista del genere “io vi salverò, non lascio indietro nessuno”, è un uomo che ha piuttosto abbracciato la filosofia del distacco, soluzione utile a non farsi travolgere dagli eventi, sia che provengano dal passato (madre suicida) che dal presente (nonno in casa di riposo) che dal futuro (la collega carina cui non riesce ad aprirsi). Proprio qui, nel cuore del film sta il problema. Il professore imparerà, grazie alla storia di due ragazzine, che la sua filosofia è sbagliata: è non vita. Solo una delle due storie finirà bene. Mentre una è non solo poco originale (ragazza presa in giro con passioni artistiche) mettendo troppa carne al fuoco (accuse di pedofilia?) e risolta subdolamente con il facile colpo di scena (evitabilissimo), l’altra è altresì poco originale (ragazza perduta e salvata) e spesso sul filo della retorica edificante.
La pellicola si fa sempre più frammentata senza però sfibrare di consistenza; in fondo, sebbene certe trovate non ci siano piaciute, a vincerla infine è l’impegno sincero dell’autore, che se la cava bene così come il suo protagonista. Tutt’altro che un capolavoro, Il Distacco è piuttosto un pasticcio, ma un pasticcio fatto col cuore, si intende.
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