72 Mostra del Cinema – 5 Settembre

CONCORSO – Piero Messina: L’Attesa (Italia)

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E’ il film di Piero Messina, assistente di regia di Paolo Sorrentino. Speravamo in un occhio registico autonomo e indipendente rispetto a quello del regista napoletano, che ne prendesse a prestito sì la tecnica, ma con una sostanza diversa e originale. Purtroppo non è andata così: abbiamo detestato questo film, costruito e artefatto dalla prima all’ultima scena, un film nel quale tutto è estremamente ricercato per ottenere il massimo effetto emotivo, in cui i ralenty abbondano, la musica è quella che fa colpo, e tutto per dimostrare grande virtuosismo e sensibilità. Ma se questa idea di cinema, che rifugge completamente ogni spontaneità e libertà in nome di un manierismo ai limiti del kitsch, che soffoca il sentimento col sentimentalismo, è qualcosa che già conosciamo, quel che davvero ci spiazza è l’assurdità gratuita con cui vengono rappresentati i fatti, con situazioni che si vorrebbero profonde ma che sono prive di qualsiasi credibilità (la ragazza che per giorni non ha notizie del fidanzato perchè lui “ha da fare”, non sta nè in cielo nè in terra). A questo cinema, il cinema del “ben fatto”, del “ben girato”, della ricercata bellezza statuaria, noi siamo indifferenti. Con Sorrentino almeno, si ride qualche volta. Qui no.

 

ORIZZONTI – Brady Corbet: The Childhood of a Leader (USA)

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Un film sconvolgente nel senso letterale del termine: si esce dalla sala frastornati senza aver ben capito quello che si è visto. L’infanzia di un leader, cioè la nascita e la crescita dell’ego di un bambino, futuro gerarca fascista, all’epoca della stesura del Trattato di Versailles, alla fine della Prima Guerra Mondiale: evento che ha fortemente determinato l’ascesa dei fascismi in europa. Domina la dissonanza: tra una musica opprimente ed immagini in cui non succede niente. E’ un film molto intrigante, ma anche fortemente ostico e respingente; Giocato molto sulle suggestioni, e interamente basato su piccoli segnali lanciati di soppiatto allo spettatore, e forte di una tensione palpabile anche nei momenti più inaspettati; sembra che il regista ci tenga a mantenerlo incomprensibile per tutta la sua durata. Dal punto di vista tecnico ineccepibile e disorientante. Un film bistrattato, ma uno dei pochi davvero interessanti visti finora, l'”alieno” del festival. Servirà una seconda visione.

 

ORIZZONTI – Tobias Lindholm: Krigen (Danimarca)

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Mentre subisce un duro attacco da parte di guerriglieri talebani, il capitano di una squadra di soldati danesi in Afghanistan è costretto ad ordinare un bombardamento aereo su obiettivi civili per trarre in salvo i suoi uomini. Film di guerra, che diventa poi un courtroom movie, nel momento in cui il protagonista è accusato da una corte per crimini di guerra. Tutto giocato sulla responsabilità (e la difficoltà) delle scelte. Molto ben girato, il regista è stato uno degli assistenti di Thomas Vintemberg.

 

 

CONCORSO – Christian Vincent: L’Hermine (Francia)

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E a proposito di tribunali, L’Hermine è una squisita commedia ambientata proprio nella corte di un tribunale. Protagonista un giudice che, nel corso di un processo, si innamora di una donna della giuria. Ci sono delle belle idee: ad esempio che il film non è focalizzato tanto sul caso in tribunale, quanto su chi in tribunale ci lavora – un film sulla “vita” all’interno di un tribunale; e una serie di considerazioni, per cui un processo non serve davvero a stabilire cosa sia vero e falso (spesso le due cose, come si vede, sono indistinguibili), ma a ricordare i principi della legge. Il tribunale diventa un palcoscenico, con un pubblico (i giurati), degli attori (avvocati, testimoni e imputati), e un regista (il giudice). Ottimi dialoghi e interpretazioni, ma a conti fatti il film non si spinge molto più in là della favola romantica.

Stefano